In un mondo come quello di oggi in cui tutto ha un costo, anche essere donna si paga, e per di più a caro prezzo. Ci riferiamo alla Tampon Tax l’imposta IVA applicata sui prezzi degli assorbenti, che oggi in Italia è al 22%.
Avere il ciclo è quindi considerato un lusso, l’iva sugli assorbenti è alla pari dei beni ordinari come vino, sigarette e vestiti.
La strada è ancora lunga per arrivare a considerarli beni di prima necessità, ma qualcosa almeno apparentemente sembra si stia iniziando a muovere. Dopo anni di tentativi falliti, grazie al governo Draghi si inizia a vedere un piccolo spiraglio di luce di cambiamento.
Il Consiglio dei Ministri ha approvato il “Documento programmatico di bilancio per il 2022”: tra gli interventi più significativi il taglio dal 22% al 10% su prodotti assorbenti per l’igiene femminile. Vengono quindi inclusi anche tamponi interni, salvaslip, spugne, coppette e così via.
Una battaglia che va avanti da anni
Quella della Tampon Tax è una protesta che va avanti da anni.
Sono nati movimenti femministi, associazioni e gruppi sui social che si impegnano da tempo con proteste e proposte di legge contro i costi considerati troppo elevati per beni di necessità, la cui spesa è inevitabile e grava ingiustamente sulle donne.
Ma la proposta di ridurre l’aliquota è sempre stata respinta e archiviata dalle diverse maggioranze che, da un po’ tutti gli schieramenti, paventavano costi eccessivi per coprire la misura.
Quanto costano gli assorbenti?
Ogni donna spende circa 126€ l’anno per l’acquisto di assorbenti, di cui 23€ sono tasse.
Con questa nuova proposta le tasse scenderebbero all’incirca a 10€ l’anno, un piccolissimo passo in avanti verso costi più abbordabili e civili.
La Tampon Tax nel resto d’Europa
A rendere ancora più critica la situazione della Tampon Tax italiana è sempre stato il confronto con gli altri paesi europei. Come spesso accade l’Italia arriva sempre in ritardo, infatti in Europa è tra gli ultimi 6 Paesi con Iva sopra al 21% sui prodotti per donne. Ci sono paesi che viaggiano tra il 10 e il 20% e altri che invece l’hanno proprio eliminata.
I casi più virtuosi sono quelli dell’Irlanda, che nel 2006 ha scelto di azzerare completamente l’imposta, e del Regno Unito che aveva la tassa al 5% fino allo scorso anno ma che in seguito alla Brexit ha scelto di portarla a 0.
Restano su livelli minimi anche Francia (5,5%), Portogallo e Paesi Bassi (6%).
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